Il morbo di Alzheimer, che si manifesta prevalentemente dopo i 65 anni, ma può presentarsi anche in modo precoce tra i quaranta e cinquanta anni, è una grave forme di demenza, che degrada le capacità mnemoniche del soggetto compromettendone i ricordi, le abilità di comprensione, il pensiero e il comportamento.
Nonostante le cause ancora sconosciute, da test eseguiti su pazienti ed esami clinici correlati, con l'insorgenza dell'Alzheimer, di norma, si registra nell'encefalo la presenza di placche amiloidi. Placche la cui formazione è dovuta dall'accumulo di una particolare proteina, detta Beta amiloide (Aβ), che assume una struttura anomala e si deposita tra i neuroni come una sorta di collante, rendendo difficoltose le comunicazioni.
Mentre per il deterioramento cognitivo tipico del morbo non c'è ancora una cura risolutiva, esistono trattamenti che tentano di rallentarne la progressione, come una continua stimolazione mentale per favorire un allenamento costante del cervello, una dieta equilibrata e l’esercizio fisico.
Studi recenti inoltre hanno dimostrato che il THC riesce a disgregare gli agglomerati di Aß, distruggendo questa proteina così tossica, e quindi risultando particolarmente efficace per il trattamento di questa patologia.
Alzheimer: la proteina Beta amiloide e il ruolo del THC
La proteina Beta amiloide, si forma da una proteina maggiore presente nella membrana cellulare, detta Proteina Progenitrice dell'Amiloide (APP), che viene tagliata da alcuni enzimi detti secretasi. Dal taglio nascono la Aβ 1-42 e Aβ 1-40, di cui la prima è particolarmente tossica, perché genera degli aggregati molto stabili e neurotossici che a loro volta causano una alterazione dell'omeostasi cellulare.
Recentemente, la scienza farmacologica ha individuato la Aβ come target per la cura della malattia di Alzheimer.
Proprio in questa direzione si muove un recentissimo lavoro scientifico , dal titolo“Destabilization of the Alzheimer's amiloid-β protofibrils by THC: A molecolare dynamics simulation study”, pubblicato sul Journal of Molecular Graphics and Modeling, che ci dimostra come il THC riesca a disgregare gli agglomerati di Aβ.
Il THC si lega ad una subunità carboniosa della proteina Aß. Questo legame modifica la struttura stessa dell'Aß, innescando delle forze fisiche che fanno saltare dei punti di unione, detti ponti salini. Una volta rotta la molecola di Aβ, i residui vengono aggrediti dai sistemi di difesa della cellula e vengono eliminati.
Una scoperta eccezionale, in quanto, sono diverse le molecole che la chimica sta sviluppando per distruggere l'Aß, ma la maggior parte di queste presentano effetti collaterali che ne controindicano l'uso.
All'azione del THC si aggiunge anche quella del CBD, che ha una azione ansiolitica e antidepressiva, necessaria per i pazienti che soffrono di Alzheimer. Infatti, l'introduzione della cannabis terapeutica con THC-CBD in rapporto 1:1, perché è in genere ben tollerata dalle persone anziane, mira a contenere lo stato di agitazione, migliorare il sonno, stimolare l’appetito e migliorare l'equilibrio.